Ju Campu-la Piàglia-Opifici

Ju Campu-la Piàglia (La Piaggia) (Opifici)

Ju campu, le casi popolari, le scòle

gli opifici, la cartéra e ncima ju "Colle"

28 settembre 1980 ju Papa a Subbjàcu, attèra agliu “Campu”.

Papa Giovanni Paolo II a Subiaco il 28 settembre 1980

VISITA PASTORALE A SUBIACO – DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AL SINDACO

Subiaco, 28 settembre 1980

Signor Sindaco!

Le nobili espressioni con le quali Ella, interpretando anche i sentimenti dei membri dell’Amministrazione Comunale e dell’intera popolazione di Subiaco, ha voluto così cortesemente darmi il benvenuto, sono per me motivo di sincero apprezzamento per l’alto senso di ospitalità, che tanto distingue questa terra, ben nota non solo per il suo secolare attaccamento alla Sede Apostolica, come Ella ha ben ricordato, ma anche per le care memorie, lasciate dalla presenza di San Benedetto Abate. Ringrazio perciò Lei e tutte le Autorità Religiose, Civili e Militari, che si sono qui associate all’omaggio deferente.

In questo anno dedicato al ricordo di San Benedetto e di Santa Scolastica, sua sorella, dopo aver fatto visita a Norcia, città natale dei due Santi, e a Montecassino, considerata la Casa madre dell’Ordine benedettino, non potevo non recarmi in pio pellegrinaggio qui a Subiaco, dove San Benedetto trascorse gran parte della sua esistenza terrena ed attese al conseguimento di quella perfezione evangelica, cioè a quella “scuola del Servizio del Signore”, che ben presto doveva dilatarsi e riversarsi nelle comunità dei primi tredici monasteri, da lui fondati sui monti circostanti e lungo la Valle dell’Aniene.

Subiaco, col Santuario del Sacro Speco, con il suo verde, con la sua pace, con le sue acque limpide, rimane sempre un luogo privilegiato, che non ha perduto nulla di quelle antiche attrattive, che fecero da cornice alla figura solitaria e insieme sociale del grande Fondatore del Monachesimo d’Occidente. Qui Egli riformò se stesso per poi riformare la società, qui il suo spirito maturò quella grande rivoluzione, che avrebbe trovato poi compiuta espressione nella Regola, scritta a Montecassino, ma già qui concepita e rimuginata nel profondo del suo cuore e nella solitudine di questi luoghi divenuti ormai sacri alla devozione del popolo cristiano.

Si può in un certo senso parlare quindi di Subiaco, come della culla dello spirito benedettino, il quale avrebbe poi pervaso e fermentato popoli interi fino a farli sentire uniti in una sola cultura e in una medesima fede. Egli infatti fu un Uomo che seppe armonizzare anima e corpo, natura e grazia, il sociale e lo spirituale, il vecchio e il nuovo da creare, forse senza prevederlo, una nuova civiltà: la civiltà cristiana. Infatti, come già ebbi a dire a Norcia: “In un’epoca di profondi mutamenti, quando l’antico ordinamento romano stava ormai crollando ed era per nascere una nuova società sotto l’impulso dei nuovi popoli emergenti sull’orizzonte dell’Europa, egli assunse responsabilmente la propria parte, che fu preminente, di impegno non solo religioso, ma anche sociale e civile.

Promosse la coltivazione razionale delle terre, contribuì alla salvaguardia dell’antico patrimonio culturale letterario, influì sulla trasformazione dei costumi dei cosiddetti barbari…E ciò non a livello di un gretto e allora sconosciuto nazionalismo, ma, mediante i suoi monaci, a dimensione continentale, per cui giustamente il mio Predecessore Paolo VI lo ha proclamato Patrono d’Europa”(Giovanni Paolo II, Allocutio Nursiae habita, die 23 martii 1980: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III, 1 [1980] 680).

Ed è appunto per venerare tanto grande Patrono che oggi i Rappresentanti delle Conferenze Episcopali d’Europa, sono venuti in pellegrinaggio a Subiaco. Essi, celebrando insieme col Papa il centenario benedettino, intendono ringraziare il Signore di quanto ha donato all’Europa per mezzo di San Benedetto e riproporne i suoi insegnamenti affinché si ricuperi la dimensione del divino in ogni realtà terrena.

Con questi sentimenti, mentre formo voti per la prosperità e il benessere di questa città, ricostruita con generoso impegno dopo le devastazioni della guerra, imploro su tutti gli abitanti il Patrocinio di San Benedetto, e tutti benedico nel nome del Signore.

VISITA PASTORALE A SUBIACO

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Subiaco (Roma), 28 settembre 1980

Carissimi fedeli di Subiaco,

1. Sono lieto, al termine del pellegrinaggio con i Vescovi Europei al Sacro Speco, di potermi incontrare con voi e testimoniarvi l’affetto profondo che nutro per questa vostra comunità il cui nome, grazie a San Benedetto, è noto nel mondo intero. Col Rev.mo Padre Abate, saluto tutti voi, e con speciale intensità di sentimento, le persone anziane e quelle che soffrono. Il mio saluto cordiale va anche ai bambini e ai giovani, che rallegrano con lo loro presenza festosa questa nostra assemblea liturgica.

Siamo raccolti intorno all’altare di Dio per celebrare il memoriale della passione, della morte e della risurrezione di Cristo. Abbiamo ascoltato la lettura dei brani biblici, che la Liturgia oggi ci offre ed ora siamo invitati a meditare sugli ammonimenti in essi contenuti: sono parole di giudizio e sono parole di promessa.

In questo luogo ed in questo momento non possiamo fare a meno di pensare che su queste pagine fermò la propria riflessione anche Benedetto durante la sua vita terrena. Con quale eco profonda dovettero risuonare nella sua anima le minacce contro i ricchi e contro le aberrazioni che di solito si accompagnano al possesso di beni materiali eccessivi!

E quale intima vibrazione di consenso e di adesione non dovette suscitare in lui la parola di Paolo a Timoteo, che pure noi abbiamo or ora ascoltata: “Ma tu, uomo di Dio, fuggi queste cose; tendi alla giustizia, alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni” (1Tm 6,11-12).

2. Benedetto fu uomo di Dio, e divenne tale, seguendo la via delle virtù così chiaramente indicata dagli apostoli. Seguendola costantemente ed incessantemente. Egli fu un vero pellegrino del Regno di Dio, un vero “homo viator”. Non si fermò lungo la strada, non dirottò verso cammini più facili.

Tutto il suo impegno fu orientato ad eseguire la consegna: combattere la buona battaglia della fede per “conservare senza macchia e irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo” (1Tm 6,14).

In questa lotta egli impiegò tutto il tempo che l’Eterno Padre volle concedergli su questa terra. Fu una dura battaglia che egli condusse con se stesso, battendo “l’uomo vecchio” e facendo in sé sempre più spazio per “l’uomo nuovo”, che cresce per la “manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo”. Ed il Signore, mediante lo Spirito Santo, fece sì che questa trasformazione non rimanesse in lui soltanto; nella sua provvidenza ammirabile dispose che l’esperienza di Benedetto divenisse una fonte di irradiazione, che ha penetrato la storia degli uomini, che ha penetrato soprattutto la storia d’Europa.

Subiaco fu e rimane una tappa importante di questo processo: il luogo del nascondimento di S. Benedetto da Norcia e nello stesso tempo il luogo della sua manifestazione.

3. Uomo di Dio fu Benedetto, perché si sforzò di rendere la sua vita totalmente trasparente al Vangelo. Egli infatti non si accontentò di leggere il Vangelo allo scopo di conoscerlo; volle conoscerlo per tradurlo, tutto intero, in ogni aspetto della sua vita. Egli lesse il Vangelo nel suo insieme e, nello stesso tempo, ogni brano di esso, ogni pericope che la Chiesa rilegge nella sua liturgia, ogni frammento. Infatti, in ogni frammento del Vangelo è contenuto, in un certo senso, l’insieme: l’insieme vive in ogni frammento, così come ogni frammento vive dell’insieme.

È in questa luce che noi dobbiamo pensare a questo frammento che oggi rileggiamo qui, la parabola cioè del ricco epulone e del povero Lazzaro: “C’era un uomo ricco che vestiva di porpora e di bisso…”.

L’uomo di Dio Benedetto vibrava in sintonia col racconto, mentre leggeva con tutta la profondità della sua anima queste parole eterne, in un certo senso assorbendo tutta la semplicità della verità, racchiusa in questo frammento. E la verità è quella che emerge, folgorante, dall’esempio di Cristo il quale – come rileva San Paolo – “da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (2Cor 8,9).

4. La verità sta dunque in una profonda “inversione di tendenza”: alla smania di possedere sempre di più è necessario sostituire l’impegno del distacco dai beni della terra; alla logica della competizione per impadronirsi di una ricchezza sempre più grande, bisogna contrapporre lo sforzo di portare ad un giusto benessere il maggior numero possibile di uomini; ad una mentalità, che considera i beni materiali come oggetto di preda, bisogna far subentrare una mentalità che vede in essi dei mezzi di amicizia e di comunione.

La ricchezza, purtroppo, è normalmente occasione di divisione ed incentivo alla lotta; essa deve diventare, invece, strumento di comune partecipazione alla gioia di una vita degna di esseri umani: ricchezza, dunque, come fonte di elevazione per tutti, nella possibilità di accedere ai valori della cultura, della conoscenza reciproca, della stessa esperienza religiosa, favorita da una maggiore disponibilità di tempo e dall’interiore libertà dalle ansie di un domani incerto.

Sono valori che possono essere capiti soltanto dall’“uomo nuovo” che, rinascendo in Cristo, riscopre il vero significato delle cose. È necessaria la conversione del cuore per poter guardare alle realtà mondane con gli occhi di Cristo, il quale, con la parola e con l’esempio, ci ha rivelato che la vera ricchezza sta nel distacco, la vera forza in ciò che la gente considera debolezza, la vera libertà nel mettersi volontariamente al servizio dei fratelli.

5. Benedetto, uomo di Dio, questa “verità” l’assimilò fin nei suoi più riposti risvolti. Ne è prova la “Regola”, che ad essa si ispira in ogni sua parte: il monaco è un uomo che rinuncia a gareggiare con gli altri per superarli e per dominarli, ma s’impegna, invece, a gareggiare con se stesso nel dominare le proprie cupidigie, per mettersi al servizio degli altri nell’amore.

Ecco: il criterio principe, che guidò San Benedetto nella redazione delle norme di convivenza all’interno del monastero, fu appunto quello della carità vicendevole, dalla quale i “fratelli” dovevano essere indotti ad un atteggiamento di costante attenzione reciproca e di premurosa disponibilità nel rendersi l’un l’altro i servizi necessari. V’è un capitolo della “Regola”, il settantaduesimo, che traccia un quadro suggestivo dei rapporti, che devono instaurarsi all’interno della famiglia monastica. È una pagina alla quale non ogni famiglia cristiana soltanto dovrebbe guardare come ad uno stimolante ideale, ma a cui può rifarsi utilmente anche la comunità civile per trarne ispirazione nell’impostare i propri rapporti di convivenza.

Illustrando, dunque, “il fervore che deve animare con ardentissimo spirito di carità i monaci”, Benedetto stabilisce: “Si prevengano l’un l’altro nel rendersi onore; sopportino con somma pazienza a vicenda le loro infermità fisiche e morali; si prestino a gara obbedienza reciproca; nessuno cerchi l’utilità propria ma piuttosto l’altrui; nutrano l’uno verso l’altro un casto amore fraterno; temano Dio amandolo; …nulla assolutamente antepongano a Cristo, il quale ci conduca tutti alla vita eterna” (San Benedetto, Regula, VII, 3-9.11-12).

Sono indicazioni indubbiamente molto elevate, la cui attuazione può apparire riservata a pochi spiriti privilegiati. Non va, tuttavia, dimenticato che un simile ideale Benedetto osò proporre a uomini provenienti da una società in sfacelo, nella quale predominavano l’arbitrio, la violenza, lo sfruttamento. E fu sulla base di tali norme che dal decrepito mondo di una romanità, ridotta ormai ad una larva inconsistente, poterono sorgere in varie parti d’Italia e d’Europa i vivaci nuclei sociali dei monasteri, nei quali uomini diversi per età, razza, cultura, si trovarono affratellati nell’opera ciclopica della costruzione di una nuova civiltà.

6. Su questi valori anche la nostra società, interiormente corrosa da pericolosi germi di disgregazione e di disfacimento, può ritrovare decisivi fattori di coesione e di ripresa. Benedetto ci offre la prova non controvertibile del come si possa far penetrare il Vangelo nella storia concreta degli uomini, apportandovi un dinamismo trasformatore, capace di impensati, benefici sviluppi.

L’esperienza benedettina, forte ormai del collaudo di quasi quindici secoli di storia, sta sotto i nostri occhi per dimostrarci come l’amore, che si apre ai fratelli per condividere con essi qualità personali, energie, beni, si riveli la vera “molla” del progresso, l’unica capace di far avanzare la società senza mai sacrificare l’uomo.

Che Iddio conceda agli uomini d’oggi di accogliere questa lezione feconda e di avviarsi con decisione, seguendo le orme di San Benedetto, sulle strade del reciproco rispetto, dell’apertura leale, della condivisione generosa, dell’impegno concorde, in una parola, sulle strade dell’amore. Il futuro lo costruisce non chi odia, ma chi ama.

Lo riaffermiamo in questa celebrazione liturgica, nella quale Cristo ci raccoglie intorno alla sua mensa, per distribuirci quel Pane che fa di noi tutti una cosa sola con Lui ed in Lui. La partecipazione al Corpo ed al Sangue del Signore impegna i cristiani – è bene ricordarlo ogni tanto – ad essere nel mondo i testimoni dell’amore di Colui che, lasciandosi inchiodare sulla croce, ha “perso la propria vita” (Mt 10,39), per consentire all’uomo di ritrovare se stesso.

VISITA PASTORALE A SUBIACO

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
DURANTE LA VISITA AL SACRO SPECO

28 settembre 1980

Venerabili e carissimi fratelli.

1. Oggi il grande giubileo di san Benedetto ci ha fatto venire a Subiaco. Vi ha già dato l’occasione di presiedere, nelle vostre patrie, nelle vostre diocesi, a importanti celebrazioni, non solo per i monaci e le monache, ma per tutto il Popolo di Dio affidato alle vostre cure, come ho fatto io stesso a Norcia e a Montecassino. Ma oggi, la scelta del luogo santificato da san Benedetto – il Sacro Speco – e la composizione della vostra assemblea dà un rilievo eccezionale a questa celebrazione.

Un millennio e mezzo è trascorso dalla nascita di questo grande uomo, che ha meritato nel passato il titolo di “patriarca dell’occidente”, e che e stato chiamato ai nostri giorni, da Papa Paolo VI, il “patrono dell’Europa”. Già questi titoli testimoniano che la luce della sua persona e della sua opera ha superato le frontiere del suo paese e non si è limitata solamente alla sua famiglia benedettina: questa ha del resto conosciuto una magnifica espansione ed è provenendo da numerosi paesi e continenti, che i suoi figli e le sue figlie si sono riuniti, una settimana fa, a Montecassino, per venerare la memoria del loro padre comune e fondatore del monachesimo occidentale.

Oggi, a Subiaco, ci sono i rappresentanti degli episcopati d’Europa che si ritrovano per testimoniare, in presenza dei Vescovi del mondo intero riuniti in Sinodo, a quale punto san Benedetto da Norcia sia inserito profondamente e organicamente nella storia d’Europa, e in particolare quanto gli sono debitori le società e le Chiese, del nostro continente, e come, nella nostra epoca critica, esse volgono i loro sguardi verso colui che è stato designato dalla Chiesa come loro patrono comune.

Consacrando l’abbazia di Montecassino risorta dalle rovine della guerra, il 2 ottobre 1964, Paolo VI segnalava le due ragioni che fanno sempre desiderare l’austera e dolce presenza di san Benedetto tra noi: “La fede cristiana che lui e il suo ordine hanno predicato, specialmente nella famiglia d’Europa…, e l’unità attraverso la quale il grande monaco solitario e sociale ci ha insegnato ad essere fratelli e attraverso la quale l’Europa divenne cristiana”. “È perché questo ideale spirituale dell’Europa fosse ormai sacro e intangibile” che il mio venerato predecessore proclamava quel giorno san Benedetto “patrono e protettore dell’Europa”. E il breve e solenne “pacis nuntius” che consacrava questa decisione, ricordando i meriti del grande abate, “messaggero di pace, artigiano dell’unità, maestro di civilizzazione, araldo della religione di Cristo e fondatore della vita monastica in occidente”, riaffermava che lui e i suoi figli, “con la croce, il libro e l’aratro”, portarono “il progresso cristiano alle popolazioni che si stendevano dal Mediterraneo alla Scandinavia, dall’Irlanda alle pianure di Polonia”.

2. San Benedetto fu prima di tutto un uomo di Dio. Egli lo è diventato seguendo, in modo costante, la via delle virtù indicate nel Vangelo. Fu un vero pellegrino del regno di Dio. Un vero “homo viator”. E questo pellegrinaggio è stato accompagnato da una lotta che è durata tutta la sua vita: una battaglia innanzitutto contro se stesso, per combattere “l’uomo vecchio” e fare sempre più posto in sé all’“uomo nuovo”. Il Signore ha permesso che, grazie al santo Spirito, questa trasformazione non rimanesse un avvenimento per lui solo, ma che divenisse una sorgente di luce, penetrando la storia degli uomini, penetrando soprattutto la storia d’Europa.

Subiaco fu e rimane una tappa importante di questo percorso. Da un parte, fu luogo di ritiro per san Benedetto da Norcia, egli vi si ritirò dall’età di quindici anni per essere più vicino a Dio. E nello stesso tempo un luogo che ben manifesta ciò che egli è. Tutta la sua storia resterà segnata da questa esperienza di Subiaco: la solitudine con Dio, l’austerità di vita, e la separazione di questa vita molto semplice con qualche discepolo, perché e là che è cominciata una prima organizzazione della vita cenobitica.

E per questo che vengo anch’io in questo alto luogo del Sacro Speco e del primo monastero.

3. Uomo di Dio, Benedetto lo fu realizzando continuamente il Vangelo, non solamente allo scopo di conoscerlo, ma anche di tradurlo interamente in tutta la sua vita. Si potrebbe dire che l’ha riletto in profondità – con la profondità della sua anima -, e che l’ha riletto nella sua ampiezza, secondo la dimensione dell’orizzonte che aveva sotto gli occhi. Questo orizzonte fu quello del mondo antico che era sul punto di morire e quello del mondo nuovo che era sul punto di nascere. Tanto nella profondità della sua anima che nell’orizzonte di questo mondo, egli ha affermato tutto il Vangelo: l’insieme di ciò che costituisce il Vangelo e nello stesso tempo ciascuna delle sue parti, ciascuno dei passi che la Chiesa rilegge nella sua liturgia, e anche ciascuna frase.

Sì, l’uomo di Dio – “benedictus”, il benedetto, Benedetto – si compenetra in tutta la semplicità della verità che vi è contenuta. Ed egli vive questo Vangelo. E vivendolo, egli evangelizza.

Paolo VI ci ha lasciato in eredità san Benedetto da Norcia come patrono d’Europa. Cosa voleva dirci con questo? Prima di tutto può essere che noi dobbiamo innalzarci senza posa alla traduzione del Vangelo, che deve essere tradotto interamente e in tutta la nostra vita. Che noi dobbiamo rileggerlo con tutta la profondità della nostra anima e in tutta la sua ampiezza, secondo la dimensione dell’orizzonte del mondo che noi abbiamo davanti al mondo. Il Concilio Vaticano II ha posto fermamente la realtà della Chiesa e della sua missione sull’orizzonte del mondo che giorno dopo giorno le diviene contemporaneo.

L’Europa costituisce una parte essenziale di questo orizzonte. In quanto continente nel quale si trovano le nostre patrie, essa è per noi un dono della provvidenza, che ce l’ha affidata allo stesso tempo come un’opera da realizzare. Noi, in quanto Chiesa, e in quanto pastori della Chiesa, dobbiamo rileggere il Vangelo e annunciarlo nella misura dei compiti che sono inerenti alla nostra epoca. Noi dobbiamo rileggerlo e predicarlo nella misura delle attese che non smettono di manifestarsi nella vita degli uomini e delle società, e nello stesso tempo nella misura delle contestazioni che noi incontriamo nella loro vita. Cristo non smette mai di essere “l’attesa dei popoli” e nello stesso tempo egli non smette di essere il “segno di contraddizione”.

Sì, sulle tracce di san Benedetto, il compito dei Vescovi d’Europa è d’intraprendere l’opera di evangelizzazione nel mondo contemporaneo. Così facendo, essi si rifanno a ciò che è stato elaborato e costruito quindici secoli fa, allo spirito che l’ha ispirato, al dinamismo spirituale e alla speranza che ha segnato questa iniziativa; ma è un’opera da intraprendere in modo rinnovato, a prezzo di nuovi sforzi, in funzione dell’attuale contesto.

4. È in questa cornice dell’evangelizzazione che assume tutto il suo senso la dichiarazione dei Vescovi d’Europa che abbiamo appena letto: “Responsabilità dei cristiani di fronte all’Europa d’oggi e di domani”. Questo documento, elaborato in comune, è un apprezzabile frutto della responsabilità collegiale dei Vescovi di tutto il continente europeo. È senza dubbio la prima volta che l’iniziativa assume una tale ampiezza. Si tratta di un documento, in qualche modo, della Chiesa cattolica in Europa, che è rappresentata, in modo particolare, dai Vescovi come pastori e maestri di fede. Saluto con gioia questo incoraggiante segno di una responsabilità collegiale che progredisce in Europa, di una unità meglio consolidata tra gli episcopati. Questi episcopati si trovano infatti in paesi dalle situazioni molto diverse, che si tratti dei loro sistemi sociali o economici, dell’ideologia dei loro stati o della posizione della Chiesa cattolica, che forma a volte una maggioranza indiscutibile, altre volte una piccola minoranza al fianco di altre Chiese, o in rapporto a una società molto secolarizzata. Confidando nel carattere benefico, stimolante, degli scambi e della cooperazione, come ho già molte volte detto, io incoraggio con tutto il cuore il proseguimento di una tale collaborazione, che ben si iscrive nella linea del Concilio Vaticano II. Essa non è d’altra parte estranea alla pratica benedettina e cistercense di una interdipendenza e di una cooperazione tra i differenti monasteri dispersi attraverso l’Europa.

Nella dichiarazione resa pubblica oggi e in questo alto luogo, vi esprimo a giusto titolo la preoccupazione di una unità ecclesiale estesa. L’Europa è infatti il continente in cui le separazioni ecclesiali hanno avuto la loro origine e si sono manifestate con forza. Vale a dire che le Chiese in Europa – quelle sorte dalla Riforma, l’ortodossa e la Chiesa cattolica, che rimangono legate in modo speciale all’Europa – hanno una responsabilità particolare sul cammino dell’unità, sul piano della comprensione reciproca, dei lavori teologici e della preghiera.

Ugualmente, di fronte alle comunità cattoliche degli altri continenti, qui rappresentate, la Chiesa d’Europa deve caratterizzarsi per l’accoglienza, il servizio e lo scambio reciproco, per aiutare queste Chiese sorelle a trovare la loro propria identità, nell’unità della fede, dei sacramenti e della gerarchia.

Insomma è una testimonianza comune della vostra cura pastorale che voi date oggi, cari fratelli, che noi diamo oggi, in funzione dei bisogni e delle attese. Io non ho ripreso qui ciò che è stato abbondantemente esposto in questo documento comune. Si tratta di tracciare un cammino di evangelizzazione per l’Europa, e di seguirlo, con i nostri fedeli. È un’opera da continuare e da riprendere senza posa. Il prossimo “symposium” dei Vescovi d’Europa non ha per tema “l’autoevangelizzazione dell’Europa?” E questo ci riporta al grande progetto, all’iniziativa senza pari di san Benedetto, di cui certe caratteristiche specifiche hanno enormi conseguenze umane, sociali e spirituali.

5. San Benedetto da Norcia è divenuto patrono spirituale dell’Europa perché, come il profeta, egli ha fatto del Vangelo il suo nutrimento, e ne ha gustato in una volta la dolcezza e l’amarezza. Il Vangelo costituisce infatti la totalità della verità sull’uomo: è insieme la gioiosa novella e nello stesso tempo la parola della croce. Attraverso esso vediamo rivivere, in maniere diverse, il problema del ricco e del povero Lazzaro – con il quale la liturgia di questo giorno ci ha resi familiari – in quanto dramma della storia, in quanto problema umano e sociale. L’Europa ha inscritto questo problema nella sua storia; essa l’ha portato ben al di là delle frontiere del suo continente. Con esso ha seminato l’inquietudine nel mondo intero. Dalla metà del nostro secolo, questo problema è ritornato, in un certo senso, in Europa; esso si pone anche nella vita delle sue società. Non manca di essere l’origine delle tensioni. Non smette di essere l’origine delle minacce.

Di queste minacce, io ho già parlato il primo giorno dell’anno, facendo allusione a questo grande anniversario di san Benedetto; ricordavo, di fronte ai pericoli della guerra nucleare che minacciano l’esistenza stessa del mondo, che “lo spirito benedettino è uno spirito di salvataggio e di promozione, nato dalla coscienza del piano divino della salvezza ed educato nell’unione quotidiana della preghiera e del lavoro”. Esso “è agli antipodi di ogni programma di distruzione”.

Il pellegrinaggio che noi compiamo oggi è dunque ancora un grande grido e una nuova supplica per la pace in Europa e nel mondo intero. Noi preghiamo affinché le minacce di autodistruzione che le ultime generazioni hanno fatto sorgere all’orizzonte della loro vita si allontanino da tutti i popoli del nostro continente e di tutti gli altri continenti. Noi preghiamo affinché si allontanino le minacce d’oppressione degli uni da parte degli altri: la minaccia della distruzione degli uomini e dei popoli che, nel corso delle loro lotte storiche e a prezzo di tante vittime, hanno acquisito il diritto morale di essere se stessi e di decidere da se stessi.

6. Che si trattasse del mondo che ai tempi di san Benedetto si limitava all’antica Europa, o del mondo che, nello stesso tempo, stava per sorgere, il loro orizzonte passava attraverso la parabola del ricco e del povero Lazzaro. Al momento in cui il Vangelo, la buona novella del Cristo, entrava nell’antichità, sopportava i pesi dell’istituzione della schiavitù. Benedetto da Norcia trovò nell’orizzonte del suo tempo le tradizioni della schiavitù, e nello stesso tempo rileggeva nel Vangelo una verità sconcertante sulla riconciliazione definitiva della sorte del ricco e del povero Lazzaro.

Leggeva anche la gioiosa verità sulla fraternità di tutti gli uomini. Dagli inizi il Vangelo costituirà dunque un richiamo a superare la schiavitù nel nome dell’eguaglianza degli uomini agli occhi del Creatore e Padre. Nel nome della croce e della redenzione.

Questa verità, questa buona novella dell’eguaglianza e della fraternità, non è stato san Benedetto che l’ha tradotta in regola di vita? Egli l’ha tradotta non solamente in regola di vita per le sue comunità monastiche, ma più ancora, in sistema di vita per gli uomini e per i popoli. “Ora et labora”. Il lavoro, nell’antichità, era la sorte degli schiavi, il segno dell’avvilimento. Essere libero significava non lavorare, e dunque vivere del lavoro degli altri. La rivoluzione benedettina mette il lavoro al cuore stesso della dignità dell’uomo. L’uguaglianza degli uomini intorno al lavoro diviene, attraverso il lavoro stesso, come un fondamento della libertà dei figli di Dio, della libertà grazie al clima di preghiera in cui si vive il lavoro. Ecco qui una regola e un programma. Un programma che comporta degli elementi. La dignità del lavoro non può infatti essere tratta unicamente da criteri materiali, economici. Essa deve maturare nel cuore dell’uomo. E essa non può maturare nel profondo che mediante la preghiera. Perché è la preghiera che dice in definitiva all’umanità ciò che è l’uomo del lavoro, colui che lavora con il sudore della sua fronte e anche con la fatica del suo spirito e delle sue mani. Essa ci dice che egli non può essere schiavo, ma che egli è libero. Come afferma san Paolo: “lo schiavo che è stato chiamato dal Signore, è un libero affrancato dal Signore” (1Cor 7,22). E Paolo, che non ha creduto indegno di un apostolo di “affaticarsi lavorando con le proprie mani” (1Cor 4,12) non ha paura di mostrare agli anziani di Efeso le sue proprie mani che hanno provveduto ai propri bisogni e a quelli dei suoi compagni (cf. At 20,34). È nella fede di Cristo e nella preghiera che il lavoratore scopre la sua dignità. È ancora san Paolo che precisa: “Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito di suo Figlio che grida: “Abbà, Padre!”. Dunque non sei più schiavo, ma figlio” (Gal 4,6-7).

Non abbiamo visto recentemente uomini che, di fronte a tutta l’Europa e al mondo intero, univano la proclamazione della dignità del loro lavoro alla preghiera?

7. Benedetto da Norcia, che per la sua azione profetica ha cercato di far uscire l’Europa dalle tristi tradizioni della schiavitù, sembra dunque parlare, dopo quindici secoli, a numerosi uomini e a molteplici società che bisogna liberare dalle diverse forme contemporanee di oppressione dell’uomo. La schiavitù pesa su colui che è oppresso, ma anche sull’oppressore. Non abbiamo conosciuto, nel corso della storia, delle potenze, degli imperi che hanno oppresso nazioni e popoli in nome della schiavitù ancora più forte della società degli oppressori? La parola d’ordine “ora et labora” è un messaggio di libertà.

Di più, questo messaggio benedettino non è oggi all’orizzonte del nostro mondo, un richiamo a liberarsi dalla schiavitù del consumismo d’un modo di pensare e di giudicare, di stabilire i nostri programmi e di condurre il nostro stile di vita unicamente in funzione dell’economia?

In questi programmi scompaiono i valori umani fondamentali. La dignità della vita è sistematicamente minacciata. La famiglia è minacciata, vale a dire questo legame essenziale reciproco fondato sulla confidenza delle generazioni, che trova la sua origine nel mistero della vita e della pienezza di tutta l’opera dell’educazione. È anche tutto il patrimonio spirituale delle nazioni e delle patrie che è minacciato.

Siamo in grado noi di frenare tutto questo? Di ricostruire? Siamo in grado di allontanare dagli oppressi il peso della costrizione? Siamo capaci di convincere il mondo che l’abuso della libertà è un’altra forma di costrizione?

8. San Benedetto ci è stato donato come patrono dell’Europa dei nostri tempi, del nostro secolo, per testimoniare che siamo capaci di fare tutto questo.

Noi dobbiamo solamente assimilare di nuovo il Vangelo nel più profondo della nostra anima, nella cornice della nostra attuale epoca. Dobbiamo accettarlo come un nutrimento. Si riscoprirà allora un po’ alla volta il cammino della salvezza e della pace come in quei tempi lontani in cui il Signore dei signori ha posto Benedetto da Norcia, quale lampada sul candelabro, quale faro sulla strada della storia.

È lui infatti che è il Signore di tutta la storia del mondo, Gesù Cristo, che, da ricco che era, si è fatto povero per noi, al fine di arricchirci con la sua povertà (cf. 2Cor 8,9).

A lui onore e gloria per i secoli!

VISITA PASTORALE A SUBIACO

PREGHIERA DI GIOVANNI PAOLO II
NEL SACRO SPECO

28 settembre 1980

Al termine di questo pellegrinaggio che ho compiuto insieme con i Vescovi dell’Europa in questi luoghi così carichi di spiritualità e consacrati dalla presenza di san Benedetto, desidero innalzare al santo patrono d’Europa una fervida invocazione:

1. O san Benedetto abate! / L’umile successore di Pietro e i Vescovi dell’Europa, / che tu hai tanto amata, / siamo venuti in questo luogo, nel quale, giovane studente, / hai cercato e trovato il significato più vero della tua esistenza; / in questo luogo, nel quale, aiutato dal silenzio, / dalla riflessione, dalla preghiera, dalla penitenza, / ti sei preparato ad essere docile strumento della misericordia di Dio, / che voleva fare di te una guida ed un maestro / per l’Europa, per la Chiesa, per il mondo.

Siamo venuti in pellegrinaggio al fine di esprimere, anzitutto, / la nostra immensa gratitudine alla Trinità santissima / per il dono, che quindici secoli fa, ha fatto alla Chiesa; / ed altresì al fine di dire a te, o santo patrono dell’Europa, / la nostra fervorosa ammirazione per la tua piena corrispondenza / alla grazia ed ascoltare quel messaggio, che tu hai vissuto / in te ed hai anche trasmesso alle future generazioni, / radicato sulla forza liberante del Vangelo, / che è “potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede” (Rm 1,16).

O santo patriarca, / tu che non hai insegnato diversamente da come sei vissuto (cf. S. Gregorio Magno, Dial., II,36), / fa’ sentire a noi tutti, in questa singolare circostanza, / la perenne attualità del tuo insegnamento, / perché continui ad essere ispiratore di bene per l’uomo contemporaneo.

2. Tu ci hai insegnato che Dio creatore e padre / deve essere il “primo servito”, mediante la fede viva, / il culto decoroso, l’adorazione devota, la preghiera assidua, / la lieta obbedienza alla sua santissima volontà.

Tu ci hai insegnato che la vita dell’uomo / è degna di esser vissuta, / senza superficiale ottimismo utopistico né disperato pessimismo, / perché è dono dell’amore di Dio e deve essere / una continua, perenne, costante ricerca di Dio, / l’unico vero ed autentico valore assoluto.

Tu ci hai insegnato che il cristiano, per esser veramente tale, / deve “servire nella milizia di Cristo Signore, vero re” (S. Benedetto, Regula, Prol.), / facendo di Cristo il centro della propria vita e dei propri interessi.

Tu ci hai insegnato che, insieme al distacco interiore dai caduchi beni della terra, / dobbiamo possedere una gioiosa ed operosa apertura di spirito e di cuore / verso tutti gli uomini, fratelli in Cristo, figli del medesimo Padre celeste.

Tu ci hai insegnato che, per l’uomo, il lavoro / – non solo quello di chi si china sui libri, ma anche di chi si china / con la fronte madida di sudore e con le mani doloranti, a dissodare la terra – / non è umiliazione né alienazione, ma elevazione, esaltazione, / anzi partecipazione all’opera creativa di Dio; / e contributo cosciente e meritorio alla costruzione della città terrena, / in attesa di quella definitiva ed eterna.

Tu ci hai insegnato che la fede cristiana, / lungi dall’essere elemento di divisione o di disgregazione, / è matrice di unità, di solidarietà, di fusione / anche nell’ordine temporale, sociale, culturale, / e che quindi la libertà religiosa è uno dei diritti inalienabili dell’uomo.

3. Per questo, o santo patriarca, ti invochiamo questa sera: / innalza le tue larghe, paterne braccia alla Trinità santissima / e prega per il mondo, per la Chiesa e, in particolare, per l’Europa, / per la tua Europa, di cui sei celeste patrono: / che essa non dimentichi, non rifiuti, non rinunci allo straordinario tesoro / della fede cristiana, che per secoli ha animato e fecondato la storia / ed il progresso morale, civile, culturale, artistico, delle sue singole nazioni; / che, in forza di tale sua matrice “cristiana” / sia portatrice e generatrice di unità e di pace / fra i popoli del continente e quelli del mondo intero; / garantisca a tutti i suoi cittadini la serenità, la pace, il lavoro, la sicurezza, / i diritti fondamentali, quali quelli concernenti la religione, la vita, la famiglia, il matrimonio.

Con la tua preghiera, o santo patrono dell’Europa, / invochiamo supplici l’intercessione della tua diletta sorella.

O santa Scolastica, a te affidiamo in particolare le fanciulle, le giovani, / le religiose, le madri, perché sappiano vivere oggi / la loro dignità di esser donne, secondo il disegno di Dio.

San Benedetto e santa Scolastica, pregate per noi! / Amen!

Papa Giovanni Paolo II a Subiaco 28 settembre 1980